“IN AFRICA LA CHIESA SVOLGE IL RUOLO VITALE”
di Nicola Gori
di Nicola Gori
L'Africa può trasformarsi in un laboratorio di solidarietà tra popoli e di convivenza tra religioni diverse. Se da un lato, l'eredità del colonialismo crea ancora conflitti e discordie - basti pensare alla forzata coesistenza di popoli ed etnie diverse entro una nazione i cui confini sono stati imposti arbitrariamente - dall'altro si assiste a un quotidiano esercizio di dialogo e di ricerca della pacifica convivenza. In questa situazione, certo non facile, la Chiesa ha un compito fondamentale: essere la voce di chi non ha voce. In vista del prossimo Sinodo speciale per l'Africa - che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre in Vaticano - il nigeriano monsignor Chidi Denis Isizoh, officiale del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, delinea in questa intervista al nostro giornale alcune delle sfide che attendono il continente africano.
L'Instrumentum laboris del prossimo Sinodo continentale dedica due interi paragrafi al dialogo con le altre religioni. Qual è attualmente lo stato dei rapporti con i cattolici?
ISIZOH: Per lo più i rapporti sono buoni, ma è necessario distinguere. Nella maggior parte dei luoghi, cattolici, cristiani in generale e seguaci di altre religioni, in particolare della tradizione religiosa africana e musulmani, vivono e lavorano insieme. La religione non è qualcosa di separato dalle altre attività dell'esistenza. È lo stile di vita. Molte lingue africane non hanno un termine per definirla. La forma più comune di rapporto fra cristiani e appartenenti ad altre religioni è quella del dialogo di vita e di cooperazione, in cui ogni persona esprime gli ideali della sua religione: essere buoni vicini, onesti, mostrare sollecitudine verso chi è in difficoltà, mettere denaro e capacità a disposizione del bene comune del villaggio, partecipare al processo decisionale per il progresso della società, cercare di lottare contro la criminalità. In queste aree di condivisione, ogni persona reca con sé i valori che ha appreso dalla sua religione. In Africa, le persone comuni sono per lo più contente di essere insieme e di collaborare a progetti di interesse collettivo nei villaggi e nelle città del continente. Spesso non approfondiscono le questioni teologiche delle loro religioni, anche se Benedetto XVI ha esortato a un livello profondo di dialogo nella verità e nella carità.
Qual è l'atteggiamento della religione tradizionale africana nei confronti del cattolicesimo?
ISIZOH:I seguaci della religione tradizionale africana sono per la maggior parte amici dei cristiani. Nel secolo scorso molti nuovi battezzati appartenevano in precedenza a quella religione. In riferimento al dialogo interreligioso, la Chiesa assume due diversi atteggiamenti: uno verso gli aderenti alla religione tradizionale e un altro verso quanti di loro si sono convertiti al cattolicesimo. Con i primi la Chiesa incoraggia un dialogo come quello appena descritto. Più difficile è il rapporto con i convertiti, poiché la religione tradizionale africana comprende la totalità della vita, offre categorie di pensiero per interpretare quelli che io definisco "eventi della vita": nascite, matrimoni, lavoro, ma anche eventi tristi come malattie e lutti. La religione tradizionale offre risposte e soluzioni. Ora, quando un nuovo cristiano affronta questi "eventi della vita", cerca di trovare una risposta nel cristianesimo. Una persona non ancora ben radicata nella fede, non trova una soluzione immediata e soddisfacente. Così tende a tornare alla religione tradizionale africana alla ricerca di risposte. In alcune aree africane questo passaggio da una religione all'altra è una vera sfida. La soluzione raccomandata dalla Chiesa è l'"attenzione pastorale", che significa fornire una guida a questi cristiani in difficoltà. Questa attenzione si esprime sotto forma di intensa catechesi, consigli pastorali da parte di sacerdoti, istruzioni sulla fede, vicinanza e solidarietà verso i cristiani, preghiere comuni.
E per quanto riguarda i musulmani?
ISIZOH: In numerosi Paesi africani i rapporti fra cristiani e musulmani sono buoni. Questa è una buona notizia che spesso non viene riportata dai mezzi di comunicazione sociale più importanti. Naturalmente, vi sono eccezioni a questo felice rapporto: pensiamo ai due o tre Paesi in cui di tanto in tanto si dimostra intolleranza e nei quali alcuni leader politici manipolano i sentimenti religiosi per raggiungere i propri obiettivi. È necessario che i responsabili religiosi cooperino per evitare che i politici e altri gruppi interessati sfruttino la religione ai loro scopi.
Su quali ambiti comuni di impegno è possibile oggi la collaborazione con i musulmani?
ISIZOH: Il dialogo fra cristiani nei Paesi dell'Africa sub-sahariana ha un vantaggio importante. La religione tradizione africana offre un contesto socio-culturale che dà ai cristiani e ai musulmani l'opportunità di comprendersi. È spesso facile per loro capire i rispettivi modelli di pensiero. In Africa i cristiani e i musulmani cooperano in numerose aree. In quella dell'educazione possono collaborare nell'eliminare l'analfabetismo e l'ignoranza. Possono contribuire a inculcare una sana moralità nel governo della cosa pubblica, insegnare ai loro fedeli i diritti e i doveri nella società, cooperare nella lotta alla povertà. Possono anche contribuire a promuovere una sana democrazia: per esempio monitorando congiuntamente le elezioni e condannandone le irregolarità con coraggio. Hanno anche la possibilità di favorire la giustizia sociale e l'onestà nella vita pubblica e privata, chiedendo ai politici di rendere conto delle loro azioni.
La Caritas in veritate denuncia l'insufficiente sviluppo dei popoli a quarant'anni dalla Populorumprogressio. Che cos'è che ancora oggi ritarda questo sviluppo in Africa?
ISIZOH: L'ultima enciclica di Benedetto XVI ha qualcosa da dire a ogni persona e a ogni popolo. Ritengo molto importante l'affermazione che non è "sufficiente progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico". E quindi considero fondamentale la forte enfasi posta sullo sviluppo integrale della persona umana.
Venendo all'Africa, direi che essa ha compiuto progressi nello spirito delle encicliche Populorumprogressio e Caritas in veritate in molti settori della cooperazione internazionale, nell'ambito della difesa dei valori della vita e della famiglia, educazione, democrazia, dialogo nazionale e dibattiti sulla coesistenza. Tuttavia alcuni ostacoli ritardano il progresso dello sviluppo. L'eredità del colonialismo è ancora visibile oggi. La fusione di distinti gruppi etnici in nazioni moderne - senza la quale i confini tra i Paesi sarebbero oggi ben diversi - è a mio giudizio un grave ostacolo che ritarda lo sviluppo. Non abbiamo forse assistito anche in Europa alla disintegrazione dell'Unione Sovietica, della Jugoslavia e di altri Paesi, con il ritorno delle singole realtà nazionali che li componevano alla loro condizione originaria? Per la maggior parte, i Paesi africani scontano le conseguenze della fusione bizzarra di differenti popolazioni - che i mezzi di comunicazione sociale definiscono spesso "gruppi tribali" - operata dal colonialismo. Fin dall'inizio si è creata tensione nelle loro strutture. Di quando in quando esplode. Porta a conflitti e a lotte per il potere e per il controllo delle risorse. È vero che dopo così tanti anni i Paesi più piccoli e con meno gruppi etnici sono riusciti ad accettare questa unione forzata, ma i più grandi saranno costretti a negoziare e trovare compromessi ancora per molto tempo. Ciò è evidente in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, il Sud Africa e il Sudan. Questo prolungato dibattito nazionale sulla loro esistenza ritarda lo sviluppo.
Ci sono altri ostacoli sulla strada dell'autentico sviluppo?
ISIZOH: Ci sono l'avidità, il desiderio di ricchezza immediata, la corruzione, l'inaffidabilità da parte dei leader. C'è anche l'emigrazione: alcuni africani scoraggiati dalla mancanza di condizioni adeguate a una vita decorosa nei propri Paesi cercano di emigrare in "pascoli più verdi". Questa fuga di cervelli è un ostacolo allo sviluppo. Così come lo sono l'analfabetismo e l'ignoranza. Alcune persone pensano ancora che l'istruzione formale impartita nelle scuole sia negativa per la loro religione e per la società. Di certo, poi, ci sono alcuni Paesi dell'emisfero settentrionale che cospirano a livello internazionale per conservare ciò che hanno e negoziare quello che hanno gli altri. Si tratta del problema delle condizioni inique del commercio internazionale. In questa epoca di globalizzazione, inoltre, alcuni dei valori dello sviluppo integrale apprezzati dagli africani sono minacciati, in particolare la vita e la famiglia.
Il prossimo Sinodo avrà come temi portanti la riconciliazione, la giustizia, la pace. Quale contributo può dare la Chiesa per favorire il radicamento di questi valori nella società africana?
ISIZOH: Noi tutti preghiamo per il successo del secondo Sinodo dei vescovi per l'Africa. La scelta del tema mostra quanto la Chiesa africana sia vitale nella sua responsabilità verso il continente. Gli ultimi cinquant'anni sono stati dominati da questioni relative all'indipendenza e alla costruzione di realtà nazionali. Nella loro lotta per l'autodeterminazione e l'autogoverno, molti Paesi africani hanno vissuto guerre, conflitti, controversie. Alla fine ci si potrebbe chiedere: cosa ne sarà dell'Africa? Di questo si occuperà il Sinodo. È importante osservare l'ordine degli elementi che compongono il tema. La prima cosa è la riconciliazione, poi viene la giustizia, quindi la pace, perché riconciliazione e giustizia recano pace. Molto spesso nel mondo attuale notiamo che, dopo le ostilità, la prima cosa che si pensa di fare è creare tribunali per processare i cosiddetti "criminali di guerra", per condannarli, imprigionarli o, in alcuni casi, ucciderli. Questo reca pace? No. Esigere e ottenere "fino all'ultimo centesimo" è il modo che hanno gli uomini di vendicarsi. Ad alcune persone ciò lenisce le ferite e dà la sensazione che i colpevoli siano stati puniti. Ma questo allevia veramente le ferite della guerra e del conflitto? Nutro dei dubbi al riguardo.
Esiste un altro modo per sanare la società dopo guerre e conflitti: la riconciliazione, che è anche un valore evangelico. Cristo stesso l'ha raccomandata (Matteo 18, 15-17). Un Paese africano, il Sud Africa, ha applicato questo principio, lo ha proposto alla comunità internazionale come alternativa al tribunale per i crimini di guerra. La Chiesa svolge un ruolo vitale. È la voce di chi non ha voce. Parla a nome degli oppressi e degli emarginati della società. Conduce le persone ferite alla riconciliazione. Il modo in cui farlo sarà probabilmente uno dei più importanti punti di discussione del prossimo Sinodo.
In che modo l'Anno sacerdotale può essere per i preti africani l'occasione per riscoprire identità e missione?
ISIZOH: Come diceva Giovanni Paolo II, il sacerdozio è dono e mistero. Abbiamo motivo di rendere grazie a Dio per l'aumento delle vocazioni al sacerdozio in Africa. Alcuni, che pare non abbiano fede nel dono di Dio agli esseri umani, pensano che siano le difficoltà economiche a spingere molti giovani a diventare sacerdoti. Guardano a questo fenomeno dal punto di vista, esclusivamente umano, del guadagno economico, di una vita più comoda. Posso testimoniare che molti di questi giovani non provengono dalle famiglie africane più disagiate e che molti loro familiari non sono d'accordo con questa scelta. Alcuni sono diventati missionari in zone diverse dei rispettivi Paesi o in terre lontane, nelle quali la vita è ben peggiore che nel loro luogo d'origine.
In quest'anno speciale dobbiamo rendere grazie a Dio per i numerosi sacerdoti africani che servono in remoti villaggi senza conquistare per questo le prime pagine dei giornali. Molti di loro percorrono chilometri in bicicletta o in motocicletta per raggiungere i parrocchiani e non ricevono alcuno stipendio fisso per il proprio sostentamento. Alcuni lavorano anche in grandi parrocchie. Non possiamo ignorare la generosità dei nostri cristiani che sostengono questi sacerdoti. Ricordiamo in primo luogo i catechisti che li aiutano.
Quali sono i problemi che devono affrontare i sacerdoti africani nel loro servizio ministeriale?
ISIZOH: Alcuni luoghi dell'Africa destano preoccupazione. La più grave minaccia del nostro tempo è il pericolo di scisma creato dalle recenti ordinazioni illecite all'episcopato e al sacerdozio. Bisogna occuparsene e pregare. Per alcuni sacerdoti è sempre più difficile osservare i propri voti. Alcuni sono attratti dalle cose secolari. Questo fenomeno non è limitato all'Africa. È una situazione che dobbiamo ricordare nelle preghiere. In questo anno tutti i sacerdoti sono chiamati a tornare al fervore spirituale originario che li ha portati all'altare per impegnarsi a essere alter Christus, con tutte le implicazioni teologiche che questo comporta. È un'occasione per esaminare la propria vita di preghiera, l'impegno verso i voti emessi, lo stile di vita e la dedizione al ministero. Ci inginocchiamo per rendere grazie al Signore, eterno e sommo Sacerdote, per aver scelto noi come poveri strumenti per lavorare nella sua vigna. In questo anno il Papa ha invitato ogni sacerdote a ridedicarsi al Signore e alla sua missione. È confortante scoprire così tanti canali di grazia resi disponibili ai sacerdoti dalla Chiesa nel corso di quest'anno speciale.
L'Instrumentum laboris del prossimo Sinodo continentale dedica due interi paragrafi al dialogo con le altre religioni. Qual è attualmente lo stato dei rapporti con i cattolici?
ISIZOH: Per lo più i rapporti sono buoni, ma è necessario distinguere. Nella maggior parte dei luoghi, cattolici, cristiani in generale e seguaci di altre religioni, in particolare della tradizione religiosa africana e musulmani, vivono e lavorano insieme. La religione non è qualcosa di separato dalle altre attività dell'esistenza. È lo stile di vita. Molte lingue africane non hanno un termine per definirla. La forma più comune di rapporto fra cristiani e appartenenti ad altre religioni è quella del dialogo di vita e di cooperazione, in cui ogni persona esprime gli ideali della sua religione: essere buoni vicini, onesti, mostrare sollecitudine verso chi è in difficoltà, mettere denaro e capacità a disposizione del bene comune del villaggio, partecipare al processo decisionale per il progresso della società, cercare di lottare contro la criminalità. In queste aree di condivisione, ogni persona reca con sé i valori che ha appreso dalla sua religione. In Africa, le persone comuni sono per lo più contente di essere insieme e di collaborare a progetti di interesse collettivo nei villaggi e nelle città del continente. Spesso non approfondiscono le questioni teologiche delle loro religioni, anche se Benedetto XVI ha esortato a un livello profondo di dialogo nella verità e nella carità.
Qual è l'atteggiamento della religione tradizionale africana nei confronti del cattolicesimo?
ISIZOH:I seguaci della religione tradizionale africana sono per la maggior parte amici dei cristiani. Nel secolo scorso molti nuovi battezzati appartenevano in precedenza a quella religione. In riferimento al dialogo interreligioso, la Chiesa assume due diversi atteggiamenti: uno verso gli aderenti alla religione tradizionale e un altro verso quanti di loro si sono convertiti al cattolicesimo. Con i primi la Chiesa incoraggia un dialogo come quello appena descritto. Più difficile è il rapporto con i convertiti, poiché la religione tradizionale africana comprende la totalità della vita, offre categorie di pensiero per interpretare quelli che io definisco "eventi della vita": nascite, matrimoni, lavoro, ma anche eventi tristi come malattie e lutti. La religione tradizionale offre risposte e soluzioni. Ora, quando un nuovo cristiano affronta questi "eventi della vita", cerca di trovare una risposta nel cristianesimo. Una persona non ancora ben radicata nella fede, non trova una soluzione immediata e soddisfacente. Così tende a tornare alla religione tradizionale africana alla ricerca di risposte. In alcune aree africane questo passaggio da una religione all'altra è una vera sfida. La soluzione raccomandata dalla Chiesa è l'"attenzione pastorale", che significa fornire una guida a questi cristiani in difficoltà. Questa attenzione si esprime sotto forma di intensa catechesi, consigli pastorali da parte di sacerdoti, istruzioni sulla fede, vicinanza e solidarietà verso i cristiani, preghiere comuni.
E per quanto riguarda i musulmani?
ISIZOH: In numerosi Paesi africani i rapporti fra cristiani e musulmani sono buoni. Questa è una buona notizia che spesso non viene riportata dai mezzi di comunicazione sociale più importanti. Naturalmente, vi sono eccezioni a questo felice rapporto: pensiamo ai due o tre Paesi in cui di tanto in tanto si dimostra intolleranza e nei quali alcuni leader politici manipolano i sentimenti religiosi per raggiungere i propri obiettivi. È necessario che i responsabili religiosi cooperino per evitare che i politici e altri gruppi interessati sfruttino la religione ai loro scopi.
Su quali ambiti comuni di impegno è possibile oggi la collaborazione con i musulmani?
ISIZOH: Il dialogo fra cristiani nei Paesi dell'Africa sub-sahariana ha un vantaggio importante. La religione tradizione africana offre un contesto socio-culturale che dà ai cristiani e ai musulmani l'opportunità di comprendersi. È spesso facile per loro capire i rispettivi modelli di pensiero. In Africa i cristiani e i musulmani cooperano in numerose aree. In quella dell'educazione possono collaborare nell'eliminare l'analfabetismo e l'ignoranza. Possono contribuire a inculcare una sana moralità nel governo della cosa pubblica, insegnare ai loro fedeli i diritti e i doveri nella società, cooperare nella lotta alla povertà. Possono anche contribuire a promuovere una sana democrazia: per esempio monitorando congiuntamente le elezioni e condannandone le irregolarità con coraggio. Hanno anche la possibilità di favorire la giustizia sociale e l'onestà nella vita pubblica e privata, chiedendo ai politici di rendere conto delle loro azioni.
La Caritas in veritate denuncia l'insufficiente sviluppo dei popoli a quarant'anni dalla Populorumprogressio. Che cos'è che ancora oggi ritarda questo sviluppo in Africa?
ISIZOH: L'ultima enciclica di Benedetto XVI ha qualcosa da dire a ogni persona e a ogni popolo. Ritengo molto importante l'affermazione che non è "sufficiente progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico". E quindi considero fondamentale la forte enfasi posta sullo sviluppo integrale della persona umana.
Venendo all'Africa, direi che essa ha compiuto progressi nello spirito delle encicliche Populorumprogressio e Caritas in veritate in molti settori della cooperazione internazionale, nell'ambito della difesa dei valori della vita e della famiglia, educazione, democrazia, dialogo nazionale e dibattiti sulla coesistenza. Tuttavia alcuni ostacoli ritardano il progresso dello sviluppo. L'eredità del colonialismo è ancora visibile oggi. La fusione di distinti gruppi etnici in nazioni moderne - senza la quale i confini tra i Paesi sarebbero oggi ben diversi - è a mio giudizio un grave ostacolo che ritarda lo sviluppo. Non abbiamo forse assistito anche in Europa alla disintegrazione dell'Unione Sovietica, della Jugoslavia e di altri Paesi, con il ritorno delle singole realtà nazionali che li componevano alla loro condizione originaria? Per la maggior parte, i Paesi africani scontano le conseguenze della fusione bizzarra di differenti popolazioni - che i mezzi di comunicazione sociale definiscono spesso "gruppi tribali" - operata dal colonialismo. Fin dall'inizio si è creata tensione nelle loro strutture. Di quando in quando esplode. Porta a conflitti e a lotte per il potere e per il controllo delle risorse. È vero che dopo così tanti anni i Paesi più piccoli e con meno gruppi etnici sono riusciti ad accettare questa unione forzata, ma i più grandi saranno costretti a negoziare e trovare compromessi ancora per molto tempo. Ciò è evidente in Paesi come la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, il Sud Africa e il Sudan. Questo prolungato dibattito nazionale sulla loro esistenza ritarda lo sviluppo.
Ci sono altri ostacoli sulla strada dell'autentico sviluppo?
ISIZOH: Ci sono l'avidità, il desiderio di ricchezza immediata, la corruzione, l'inaffidabilità da parte dei leader. C'è anche l'emigrazione: alcuni africani scoraggiati dalla mancanza di condizioni adeguate a una vita decorosa nei propri Paesi cercano di emigrare in "pascoli più verdi". Questa fuga di cervelli è un ostacolo allo sviluppo. Così come lo sono l'analfabetismo e l'ignoranza. Alcune persone pensano ancora che l'istruzione formale impartita nelle scuole sia negativa per la loro religione e per la società. Di certo, poi, ci sono alcuni Paesi dell'emisfero settentrionale che cospirano a livello internazionale per conservare ciò che hanno e negoziare quello che hanno gli altri. Si tratta del problema delle condizioni inique del commercio internazionale. In questa epoca di globalizzazione, inoltre, alcuni dei valori dello sviluppo integrale apprezzati dagli africani sono minacciati, in particolare la vita e la famiglia.
Il prossimo Sinodo avrà come temi portanti la riconciliazione, la giustizia, la pace. Quale contributo può dare la Chiesa per favorire il radicamento di questi valori nella società africana?
ISIZOH: Noi tutti preghiamo per il successo del secondo Sinodo dei vescovi per l'Africa. La scelta del tema mostra quanto la Chiesa africana sia vitale nella sua responsabilità verso il continente. Gli ultimi cinquant'anni sono stati dominati da questioni relative all'indipendenza e alla costruzione di realtà nazionali. Nella loro lotta per l'autodeterminazione e l'autogoverno, molti Paesi africani hanno vissuto guerre, conflitti, controversie. Alla fine ci si potrebbe chiedere: cosa ne sarà dell'Africa? Di questo si occuperà il Sinodo. È importante osservare l'ordine degli elementi che compongono il tema. La prima cosa è la riconciliazione, poi viene la giustizia, quindi la pace, perché riconciliazione e giustizia recano pace. Molto spesso nel mondo attuale notiamo che, dopo le ostilità, la prima cosa che si pensa di fare è creare tribunali per processare i cosiddetti "criminali di guerra", per condannarli, imprigionarli o, in alcuni casi, ucciderli. Questo reca pace? No. Esigere e ottenere "fino all'ultimo centesimo" è il modo che hanno gli uomini di vendicarsi. Ad alcune persone ciò lenisce le ferite e dà la sensazione che i colpevoli siano stati puniti. Ma questo allevia veramente le ferite della guerra e del conflitto? Nutro dei dubbi al riguardo.
Esiste un altro modo per sanare la società dopo guerre e conflitti: la riconciliazione, che è anche un valore evangelico. Cristo stesso l'ha raccomandata (Matteo 18, 15-17). Un Paese africano, il Sud Africa, ha applicato questo principio, lo ha proposto alla comunità internazionale come alternativa al tribunale per i crimini di guerra. La Chiesa svolge un ruolo vitale. È la voce di chi non ha voce. Parla a nome degli oppressi e degli emarginati della società. Conduce le persone ferite alla riconciliazione. Il modo in cui farlo sarà probabilmente uno dei più importanti punti di discussione del prossimo Sinodo.
In che modo l'Anno sacerdotale può essere per i preti africani l'occasione per riscoprire identità e missione?
ISIZOH: Come diceva Giovanni Paolo II, il sacerdozio è dono e mistero. Abbiamo motivo di rendere grazie a Dio per l'aumento delle vocazioni al sacerdozio in Africa. Alcuni, che pare non abbiano fede nel dono di Dio agli esseri umani, pensano che siano le difficoltà economiche a spingere molti giovani a diventare sacerdoti. Guardano a questo fenomeno dal punto di vista, esclusivamente umano, del guadagno economico, di una vita più comoda. Posso testimoniare che molti di questi giovani non provengono dalle famiglie africane più disagiate e che molti loro familiari non sono d'accordo con questa scelta. Alcuni sono diventati missionari in zone diverse dei rispettivi Paesi o in terre lontane, nelle quali la vita è ben peggiore che nel loro luogo d'origine.
In quest'anno speciale dobbiamo rendere grazie a Dio per i numerosi sacerdoti africani che servono in remoti villaggi senza conquistare per questo le prime pagine dei giornali. Molti di loro percorrono chilometri in bicicletta o in motocicletta per raggiungere i parrocchiani e non ricevono alcuno stipendio fisso per il proprio sostentamento. Alcuni lavorano anche in grandi parrocchie. Non possiamo ignorare la generosità dei nostri cristiani che sostengono questi sacerdoti. Ricordiamo in primo luogo i catechisti che li aiutano.
Quali sono i problemi che devono affrontare i sacerdoti africani nel loro servizio ministeriale?
ISIZOH: Alcuni luoghi dell'Africa destano preoccupazione. La più grave minaccia del nostro tempo è il pericolo di scisma creato dalle recenti ordinazioni illecite all'episcopato e al sacerdozio. Bisogna occuparsene e pregare. Per alcuni sacerdoti è sempre più difficile osservare i propri voti. Alcuni sono attratti dalle cose secolari. Questo fenomeno non è limitato all'Africa. È una situazione che dobbiamo ricordare nelle preghiere. In questo anno tutti i sacerdoti sono chiamati a tornare al fervore spirituale originario che li ha portati all'altare per impegnarsi a essere alter Christus, con tutte le implicazioni teologiche che questo comporta. È un'occasione per esaminare la propria vita di preghiera, l'impegno verso i voti emessi, lo stile di vita e la dedizione al ministero. Ci inginocchiamo per rendere grazie al Signore, eterno e sommo Sacerdote, per aver scelto noi come poveri strumenti per lavorare nella sua vigna. In questo anno il Papa ha invitato ogni sacerdote a ridedicarsi al Signore e alla sua missione. È confortante scoprire così tanti canali di grazia resi disponibili ai sacerdoti dalla Chiesa nel corso di quest'anno speciale.